lunedì 18 maggio 2009

Ultimi sogni

E' difficile spiegare cosa sogni io ultimamente: un misto tra realtà, incontri onirici e sogno vero e proprio nel senso di atemporalità, aspazialità...
La realtà è la parte più nuda e cruda; come una mamma in piedi su una sedia dinanzi al pergolo; o come un ricovero ospedaliero senza via d'uscita; del cibo trasmessomi per endovena... o un esame a cui vengo ripetutamente bocciata: questa potrebbe sembrare la parte più semplice da vivere e da interpretare, ma sotto sotto è quella più meschina, quella più archetipa, che mi rimanda alle origini di tutti i traumi che sto lentamente superando.
Gli incontri onirici son quelli più utili, sono rivelatori, perchè riesco a parlare con quelle parti di me che non vengono allo scoperto di giorno. Riesco a capire il perchè di mille miei atteggiamenti. Una notte incontro una mamma diversa, una notte un papà che non è il mio, una notte una zingara e una notte ancora un fratello morto... Sono sogni questi che non mi indicano null'altro che le mie innumerevoli sfacettature, rivelandosi per quel che sono io.
[Vorrei riferirmi qui al discorso che Michele mi ha fatto a Napoli: il tempo per me è maturo, ora basta che io abbia IL coraggio per uscire allo scoperto.]
Il sogno vero e proprio è per il momento la parte meno comprensibile del mio sonno. Sognare è sempre stato per me molto divertente ed evasivo, nonchè tragico e drammatico, d'altronde come ogni altro lato della mia istrionica esistenza (si noti bene: istrionica, non narcisistica!); ma vorrei capire il reale significato di tutti quegli oggetti che si presentano e che hanno un ruolo che riesco a comprendere come per illuminazione: delle pergamene un po' nuove un po' antiche, una meravigliosa mostra di cappelli della belle epoque...

Rimane per me fondamentale sognare, tanto quanto respirare e cibarsi (anche se il mio rapporto con il cibo è un tantino in contrasto ciò non significa che io non lo ritenga necessario alla sopravvivenza); il sogno è una sorta di rivelazione dalla quale la mente e così l'uomo non possono evadere: dinanzi al sogno il mondo ti si apre, perchè il mondo sei tu e null'altro che tu. Ed è quando che il tuo mondo (una sorta di verità psichica propria) ti si apre che allora hai in mano la chiave di lettura per il mondo tutto!
Detta così sembra alquanto semplicistica la mia visione della vita, ma così ritengo che sia:
l'uomo necessita di comprensione, dapprima di se stesso, conseguentemente e dunque anche normalmente, degli altri, del mondo intero, della realtà che lo circonda, dell'universus in toto (universus nel senso di "tutte le cose"). Per spiegare il tutto in termini filomatematici potrei affermare che la comprensione del proprio mondo è una condizione strettamente necessaria, ma non sufficiente alla comprensione dell'universus.
Strettamente necessaria per le ragioni che ho nominato prima: un po' riferendomi a Jung sostengo che solo comprendendo l'inconscio intimo e personale si possa accedere quasi per magia all'inconscio collettivo [«Quel che viene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente...Prima o poi, i morti diventeranno un tutt'uno con noi; ma , nella realtà attuale, sappiamo poco o nulla di quel modo d'essere. Cosa sapremo di questa terra, dopo la morte? La dissoluzione della nostra forma temporanea nell'eternità non comporta una perdita di significato: piuttosto, ci sentiremo tutti membri di un unico corpo»]; non sufficiente perchè, mi sembra abbastanza logico, esiste pure chi si limita alla comprensione del proprio mondo e non ha la capacità di andare oltre (gli autistici per esempio riconoscono il proprio mondo, che è anche la propria sicurezza; ma ciò che sta oltre è per loro una minaccia; si noti bene infatti che ogni sintomo è una sorta di arrangiamento che la mente trova per vivere bene o male serenamente).

E forse, anzi quasi sicuramente, è per questo che fin'ora gran parte delle mie relazioni sono andate un po' a farsi benedire. Necessitavo sempre e comunque, senza pormi nemmeno troppe domande, di essere circondata da persone a loro modo stabili, le quali finivano per destabilizzarsi a causa mia; ricercavo in loro la stabilità di cui avevo IO bisogno, senza trovarla in me. Creavo rapporti un po' malati un po' dipendenti, senza rendermi conto che la felicità e la stabilità dipendevano e dipendono tuttora da me.
Bè, un salto di qualità, un salto psichico (vorrei chiamarla "zona di sviluppo prossimale" ispirandomi a Vygotskij, benchè lui la riferisca allo sviluppo cognitivo e non personale, come sto facendo io) di tre mesi: dal buio più totale alla luce.

AU REVOIR!

venerdì 15 maggio 2009

Filius lunae dixit

Nel corso della Storia numerosi sono gli esempi di uomini che ritennero imminente “la fine del mondo”. In realtà questa sembra una ulteriore ed estrema p r o i e z i o n e soggettiva elevata a scala mondiale (ossia, secondo la coscienza soggettiva, onnicomprensiva) di una situazione personale, vedremo quanto 'critica': dal greco krisis, scelta.
Qualora nella vita di tali persone si verifichi un cambiamento radicale (in ambito familiare, professionale, esistenziale) questa proiezione ‘fantasma’, come nel caso di alcuni sogni, diviene una rappresentazione mentale di prova di come potrà essere (secondo le proprie aspirazioni) il futuro.
A seconda della personalità più o meno strutturata o forte questo messianismo tout court ossessionerà il soggetto, facendogli perdere l’obiettività e il contatto con la realtà.
Un esempio semantico è illuminante al riguardo: Il termine greco telos, nel Secondo Testamento, è da intendersi come ‘il fine, lo scopo’ raggiunto o da raggiungere e non la fine di una situazione o cosa. Esso deriva da tello ‘partire per un punto o meta precisi’; dunque per questo concetto base del contesto religioso/esistenziale, il telos non è da intendersi come un evento: la ‘fine del mondo’ bensì come un’azione da svolgere e compiere: il fine della vita umana o del mondo.
Ci si potrebbe domandare ora: ma dove ha origine tale concezione dell’uomo?
Come abbiamo visto nei casi riportati, il soggetto colpito da mancanze o cambiamenti radicali tende a ‘inscenare’ una rappresentazione da fine del mondo, quando nella realtà ciò che accade è solo una fine del ‘suo mondo’ fino ad allora vissuto.
Nell’interiorità si origina tutto e da lì si dovrà dipanare la matassa della vita.
E’ nell’Imago femminile che si concentra ogni simbolo dell’ancestrale desiderio di rientrare in comunione con la Natura (nel presente contesto si tratta del desiderio di un mondo migliore).
Anche la Natura è, a sua volta, un’entità femminile eterna e primordiale, che si ripropone in tutte le manifestazioni di ogni singola femminilità e di ogni entità, essendo la proiezione individuale un esito della emanazione plenaria della Dea, come figura riflessa all’infinito in innumerevoli erotiche, nel senso più ampio, possibilità espressive.
Tutto quello che si afferma dell’inconscio è detto per lo più in termini religiosi: questo non solo perché l’uomo è homo religiosus ma anche, specificatamente, perché i contenuti dell’inconscio (un insieme di insiemi infiniti secondo Jung) sembrano ‘comportarsi’ in modo numinoso in quanto che nell’inconscio e nel sogno vigono: aspazialità, atemporalità, uguaglianza e intercambiabilità fra cose eterogenee nello stato di veglia, compenetrazione reciproca, etc. e questo spiega l’impatto emotivo forte che il linguaggio religioso ha sull’uomo.
Se nel Vangelo secondo Giovanni l’escatologìa (la dottrina sulle cose ultime) è presenziale (l’escaton è qui e ora), nella visione del mondo della Dea, alla quale faccio riferimento, non c’è escatologìa e nemmeno messianismo.
Nel Medioevo, si, c’è stato un certo messianismo al femminile (vedi l’esempio di Aradia de Toscano, nata nel 1313, in ambito dell’Antica Religione e Guglielma la Boema, nata nel 1269 circa, ai margini dell’ortodossia cristiana) ma esso è sorto come reazione al messianismo oppressivo e perentorio dell’epoca; inoltre esso fu un messianismo sui generis dato che riproponeva la Dea, in ultima analisi sempre presente e sempre agente nel Mondo ‘sua’ creatura.

http://filtrodamore.blogspot.com/search?q=Fine+del+mondo

mercoledì 13 maggio 2009

Sofia Huber

E' nata a Trieste il 20 luglio 1914. Non so bene che aspetto avesse, ma era sicuramente piccola e bionda, carina, un po' aspra o acida, arrogante... istruita, colta, un po' tedesca, un po' istriana, era Triestina. Come una di quelle belle "mule de Trieste": donne di casa, donne di mondo, lavoratrici, mamme, mogli e amiche, amanti e mondane. Era sicuramente bionda e aveva ciò che io non ho: gli occhi azzurri. Era molto più formosa e amava i cappelli, grandi, pacchiani, che davano nell'occhio e che le risaltavano i ricci. I genitori avevano bottega, magari erano sarti, magari salumieri, avevano sicuramente bottega, ma i suoi studi l'allontanarono da quel mondo.
Conobbe un uomo, più grande di lei, di famiglia benestate e molto seducente. Un uomo alto. Un uomo che a distanza di anni è ancora presente nella sua vita e che lo sarà per almeno altri cent'anni. Un uomo sicuramente più tedesco di lei, sicuramente più austro-ungarico nel senso stretto del termine. Si sposarono anche abbastanza presto, attorno ai 24 anni, ma purtoppo Sofia dovette esser accompagnata dalla madre all'altare. Il padre la abbandonò prima; abbandonò la madre, Sofia e la piccola sorella nata da pochissimo.
I due si sposarono e concepirono tre figli: una femmina, un maschio ed una femmina, che attualmemte vivono a Trieste. Le due bambine sono cresciute come la madre: son rimaste bassine, biondine e hanno un'eleganza ed una classe che è nota solo a chi ama il neoclassicismo. Il maschio è diventato come il padre, un uomo pragmatico, senza mezzi termini per cui esiste il bianco o il nero. Un uomo deciso che non si volta indietro se non che per amore.
Sofia è rimasta vedova, e tre anni dopo è morta pure lei. Era un agosto di quasi 21 anni fa, era il 17 agosto, era un giorno caldissimo, un mercoledì pomeriggio.